Che cosa significa essere un volontario? La lettera di Alessandro C.

Molte persone, probabilmente, in momenti diversi della loro vita sono state attratte e affascinate dall’idea di fare volontariato a Milano. Come fare però a conciliare la propria vita fatta di impegni lavorativi e familiari con la dedizione al prossimo? Ve lo raccontiamo noi, con le parole di uno dei volontari di Pane Quotidiano ONLUS.

 

Alessandro – Avvocato, 46 anni

Capita che mi venga chiesto o venga domandato a chi faccia volontariato cosa ci spinga a dedicare del tempo agli altri. Non posso fare da portavoce delle singole istanze, ma sicuramente posso affermare che, ciò che ci accomuna tutti, è l’empatia, ossia la capacità di porsi nella situazione o stato d’animo di un’altra persona. O si ha o non si ha questa capacità, a mio avviso. Sono molti anni che dedico segmenti del mio tempo all’attività di volontariato e, da quasi dieci anni ormai, sono uno dei volontari del Pane Quotidiano riuscendo, con dedizione e piacere, a coniugare l’attività lavorativa, le incombenze familiari che tutti abbiamo con il volontariato: nel mio specifico caso andandoci nei week-end e durante le festività. Ho passato dei momenti molto belli il Natale con i nostri ospiti. Chi è in pensione, dedica parte del suo tempo in settimana: ritengo che basti volerlo e il tempo lo si trova. Il PQ, come lo chiamiamo noi, lo conoscevo già, come molti dei miei concittadini milanesi, allorché, transitando da Viale Toscana – dove prima c’era la Centrale del Latte – notavo la lunghissima fila di persone in attesa del proprio turno. Scena toccante. Ho, quindi, semplicemente deciso di chiamare, avendo peraltro amici già al PQ, dando la mia disponibilità e coinvolgendo altresì il mio migliore amico, in questa nuova avventura. Al PQ si arriva presto e si organizza la consegna dei beni edibili per gli ospiti, cosicché, all’apertura dei cancelli, è già tutto pronto e si evita, il più possibile, la (talvolta, lunga) attesa di anziani, bambini, donne e uomini diligentemente in fila. Quando si chiudono i cancelli, ci si dedica poi al riordino e alle pulizie. Il tutto, segnato da risate e chiacchiere tra di noi, respirando un bel clima e percependo sensazioni positive. E questo già basterebbe. Ho parlato, però, all’inizio di empatia: si, è vero, perché, durante “il turno” sarei ipocrita se evitassi di dire che ci si confronta con una realtà talvolta triste, con persone che, con grande dignità, chiedono un piccolo aiuto, anche solo un abbraccio o esser ascoltate. Ma lo scopo vero del volontariato, a mio avviso, è proprio questo: farsi carico dei problemi altrui, delle esigenze del prossimo, anche dei suoi dolori, e cercare, ovunque lo si faccia, con il tempo che si ha a disposizione, di aiutarlo. Perché, come dicevano i saggi latini, non nobis solum nati sumus, non siamo nati soltanto per noi.

Alessandro C. un volontario del PQ



“Sorella, fratello, nessuno qui ti domanderà chi sei, né perché hai bisogno, né quali sono le tue opinioni.”